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giovedì 19 aprile 2012
giovedì 29 marzo 2012
Il dualismo tra Nord e Sud
16
FEB
2011
“Gli ultimi dati Eurostat mostrano che il Norditalia è la regione più ricca d’Europa, mentre al Sud 20 milioni di italiani stanno peggio dei portoghesi”. Sono parole del ministro dell’Economia Giulio Tremonti, pronunciate ieri a Bruxelles, a margine dell’Ecofin. Quindi, “Non esiste una ricetta per l’Italia, ma una per il Nord e una per il Sud. La crescita del Pil dell’1,1% nel quarto trimestre è una media non mediana: il Nord cresce e il Sud è fermo”. Tremonti è stato subito contestato dal responsabile del Pd per l’economia Stefano Fassina, che ha definito l’analisi “completamente sbagliata”: “Le dinamiche economiche dell’ultimo decennio mostrano, accanto ad una interruzione del processo di convergenza tra Sud e Nord del Paese, una perdita ancor più significativa di competitività dell’intero sistema economico nazionale e delle sue aree più forti rispetto alla media dei Paesi dell’Unione europei. Ad esempio, nel 1998, il Pil per abitante del Nord-Est era pari al 137% della media dell’Unione Europea a 27, mentre nel Meridione tale indicatore si fermava al 74%. Nel 2007, il Nord- Est scivolava al 125% della media UE, mentre il Meridione era al 70%. Insomma, l’esperienza degli ultimi trent’anni lo dimostra: il Sud e il Nord o crescono insieme oppure insieme declinano”.
I dati citati da Fassina sono corretti, ma l’analisi di Tremonti lo è altrettanto. Secondo i dati Eurostat non c’è alcuna regione italiana tra le prime venti dell’Unione Europea (classifica effettuata in base al Pil pro capite). In Italia la Lombardia e la provincia di Bolzano si confermano i territori più ricchi, ma ai primi posti in Europa restano Londra e il Lussemburgo, in Italia la più povera è la Calabria seguita dalla Campania,Sicilia e Puglia, che hanno un Pil sotto la media Ue.
La distanza tra Nord e Sud viene confermata anche dallo studio di Bankitalia ‘Mezzogiorno e politiche regionali’. Nel Mezzogiorno il Pil per abitante è inferiore al 60% di quello delle regioni del Centro-Nord. Anche la crescita dell’occupazione è stata inferiore al Sud, dove un quinto del lavoro è irregolare e sono tornati a intensificarsi i flussi migratori dal Mezzogiorno al Nord, fenomeno che riguarda soprattutto i giovani con elevati livelli di scolarizzazione.
I dati confermano situazioni note. Che senso ha che un ministro ribadisca l’enorme distanza tra l’economia del Nord e quella del Sud? Per rilevare i dati ci sono l’Istat, Eurostat, la Banca d’Italia. L’Italia “è un Paese duale”, sicuro, Tremonti ha ragione. E quindi che fare? Avviare finalmente una politica economica su misura per il Sud? Qualcosa che vada oltre il dito puntato dal premier Berlusconi, che oggi riprende l’argomento sostenendo che è tutta colpa del Sud: “Nel Mezzogiorno c’è un grave problema di classe dirigente. Su 80 miliardi messi a disposizione ne sono stati spesi solo otto”. Ecco, l’importante è sapere di chi è la colpa.
Tag:Banca d'Italia, Berlusconi, Eurostat, Istat, Nord, Sud, tremonti
Scritto mercoledì, 16 febbraio 2011 alle 17:26 nella categoria Enti locali, Istat, Pil, Regioni, Senza categoria, Statistiche, disuguaglianze. Puoi seguire i commenti a questo post attraverso il feed RSS 2.0. Puoi lasciare un commento, o fare un trackback dal tuo sito.
10 commenti a “Tremonti, Berlusconi e il dualismo tra Nord e Sud”
![21d5344455aa56fc96b751d8ebdc9251.png](webkit-fake-url://2398D141-513B-42A5-9CA8-7DE282188868/21d5344455aa56fc96b751d8ebdc9251.png)
quando smetteranno i nordisti imprenditori di prendere dalle casse del mezzogiorno e portarsi i soldi al nord forse potremmo crescere anche noi del sud
![2fe2f15311a4a2c21bcc2bee35237000.png](webkit-fake-url://2398D141-513B-42A5-9CA8-7DE282188868/2fe2f15311a4a2c21bcc2bee35237000.png)
Nelle ultime tre righe c’è scritto infatti il dato importante, tutto il resto dell’articolo non serve.
Al sud facciamo semplicemente schifo. Non è che ci vuole tanto ad ammetterlo.
Al sud facciamo semplicemente schifo. Non è che ci vuole tanto ad ammetterlo.
![12a4443da31088320ef8a3947a01b343.png](webkit-fake-url://2398D141-513B-42A5-9CA8-7DE282188868/12a4443da31088320ef8a3947a01b343.png)
Lei scrive: “Che senso ha che un ministro ribadisca l’enorme distanza tra l’economia del Nord e quella del Sud?”.
Ciò che non si spiega alla luce della logica, diventa chiaro e comprensibile alla luce dell’analisi psicologica.
Massimo Giannini definì Tremonti un Dottor Jekill e Mr Hide http://www.repubblica.it/2009/07/sezioni/economia/scudo-fiscale/giannini-costi-cassa/giannini-costi-cassa.html .
Gli feci i complimenti, perché giudicava Tremonti secondo una chiave interpretativa psicologica oltre che tecnica. E aggiunsi: T. “è un individuo dalla personalità plurale (come tutti), in fondo molto debole (perché sleale ed opportunista, ma soprattutto perché incapace di addossarsi colpe, insofferente alle critiche, con evidente idiosincrasia ai controlli); costretto, da un lato, dai sensi di colpa – in coerenza, come dire?, speculare col modello della negazione freudiana, a dichiararsi amico del Sud (”Ho zie calabresi”, dichiarò in tv), nel momento in cui congela o storna (anche per captare la benevolenza dell’alleato-protettore Bossi) i fondi ad esso destinati; dall’altro lato, da una pulsione bulimica – anche lui come il suo Capo S.B, ma che nel caso di Tremonti è forse riconducibile al c.d. istinto di proprietà … che caratterizza i bambini fino a 5 anni di età – a fagocitare poteri e competenze, che poi è incapace di gestire adeguatamente, il che lo porta inevitabilmente all’inazione (come gli imputa da tempo il Dott. Scalfari), ove si tratti di perseguire un disegno strategico e coerente di rigore economico-finanziario; ed invece a una sorta di iperattivismo corrivo – a lui molto congeniale – rispetto a prassi di ceti, gruppi sociali e categorie “border line” o alieni dall’osservanza delle regole”.
Giulio Tremonti è un incompetente ed uno sleale, che gli provoca dei sensi di colpa, ch’egli compensa “sdoppiandosi” tra due opposti e assumendo un’aria da intellettuale-filosofo, affetto da disprezzantropia (termine coniato dal cortigiano Vincenzo Monti per Ugo Foscolo, uomo alieno invece da piaggeria), quando recita le sue teorie banali. Come appunto quella del divario tra Nord e Sud: ch’egli, nonostante i proclami, si è guardato bene dal ridurre, ma anzi ha obiettivamente aggravato, sottraendo al Sud notevoli risorse finanziarie (alcune decine di miliardi).
Massimo Giannini definì Tremonti un Dottor Jekill e Mr Hide http://www.repubblica.it/2009/07/sezioni/economia/scudo-fiscale/giannini-costi-cassa/giannini-costi-cassa.html .
Gli feci i complimenti, perché giudicava Tremonti secondo una chiave interpretativa psicologica oltre che tecnica. E aggiunsi: T. “è un individuo dalla personalità plurale (come tutti), in fondo molto debole (perché sleale ed opportunista, ma soprattutto perché incapace di addossarsi colpe, insofferente alle critiche, con evidente idiosincrasia ai controlli); costretto, da un lato, dai sensi di colpa – in coerenza, come dire?, speculare col modello della negazione freudiana, a dichiararsi amico del Sud (”Ho zie calabresi”, dichiarò in tv), nel momento in cui congela o storna (anche per captare la benevolenza dell’alleato-protettore Bossi) i fondi ad esso destinati; dall’altro lato, da una pulsione bulimica – anche lui come il suo Capo S.B, ma che nel caso di Tremonti è forse riconducibile al c.d. istinto di proprietà … che caratterizza i bambini fino a 5 anni di età – a fagocitare poteri e competenze, che poi è incapace di gestire adeguatamente, il che lo porta inevitabilmente all’inazione (come gli imputa da tempo il Dott. Scalfari), ove si tratti di perseguire un disegno strategico e coerente di rigore economico-finanziario; ed invece a una sorta di iperattivismo corrivo – a lui molto congeniale – rispetto a prassi di ceti, gruppi sociali e categorie “border line” o alieni dall’osservanza delle regole”.
Giulio Tremonti è un incompetente ed uno sleale, che gli provoca dei sensi di colpa, ch’egli compensa “sdoppiandosi” tra due opposti e assumendo un’aria da intellettuale-filosofo, affetto da disprezzantropia (termine coniato dal cortigiano Vincenzo Monti per Ugo Foscolo, uomo alieno invece da piaggeria), quando recita le sue teorie banali. Come appunto quella del divario tra Nord e Sud: ch’egli, nonostante i proclami, si è guardato bene dal ridurre, ma anzi ha obiettivamente aggravato, sottraendo al Sud notevoli risorse finanziarie (alcune decine di miliardi).
![b174fd85779ac64961e821c627a7dbc7.png](webkit-fake-url://2398D141-513B-42A5-9CA8-7DE282188868/b174fd85779ac64961e821c627a7dbc7.png)
A proposito di qualità delle classi dirigenti, incluso il premier.
Si dice che uno dei modi per valutare le capacità di una persona sia valutare la qualità dei suoi collaboratori; pare di poter dire che la qualità media dei collaboratori politici del Sig. Silvio B. (Tremonti, Bondi, Brambilla, Frattini, Sacconi, ecc.) sia mediocre e non equivale affatto a quella dei suoi collaboratori in campo imprenditoriale.
E per quanto riguarda la classe dirigente del Sud, per fare solo due esempi che conosco meglio, in Campania, il Sig. Silvio B. ha scelto, rispettivamente come coordinatore del PDL e Presidente della Provincia di Napoli, Nicola Cosentino e Luigi Cesaro, entrambi accusati di collegamenti con la Camorra, ed il secondo dimostratosi del tutto incapace nella gestione dei rifiuti, ora provincializzata.
Si dice che uno dei modi per valutare le capacità di una persona sia valutare la qualità dei suoi collaboratori; pare di poter dire che la qualità media dei collaboratori politici del Sig. Silvio B. (Tremonti, Bondi, Brambilla, Frattini, Sacconi, ecc.) sia mediocre e non equivale affatto a quella dei suoi collaboratori in campo imprenditoriale.
E per quanto riguarda la classe dirigente del Sud, per fare solo due esempi che conosco meglio, in Campania, il Sig. Silvio B. ha scelto, rispettivamente come coordinatore del PDL e Presidente della Provincia di Napoli, Nicola Cosentino e Luigi Cesaro, entrambi accusati di collegamenti con la Camorra, ed il secondo dimostratosi del tutto incapace nella gestione dei rifiuti, ora provincializzata.
![663173a6ee472d324ecb83e8f0b1ba67.png](webkit-fake-url://2398D141-513B-42A5-9CA8-7DE282188868/663173a6ee472d324ecb83e8f0b1ba67.png)
L’analisi della situazione italiana è in realtà molto più semplice. Il nord perde competitività per mancanza di fondi (leggi assenza di una politica industriale da almeno 15 anni, le azienda chiudono o si spostano), il sud si avvicina come per inerzia ai livelli del nord’africa. Se la Lega vuole dividere l’Italia faccia pure: a rimetterci sarà solo il nord che perderà un mercato di 20 milioni di abitanti mentre il sud, indipendente, potrebbe trovare la forza di attrarre investimenti esteri o puntare realmente sul turismo… Non datemi del disfattista, lo dicono anche gli americani.
![2e049b78cfc21cca4d64521329832a7f.png](webkit-fake-url://2398D141-513B-42A5-9CA8-7DE282188868/2e049b78cfc21cca4d64521329832a7f.png)
Per favore lasciamo perdere la solita demagogia!!!
Che l’attuale Governo non abbia risolto i problemi del Sud è evidente, come è evidente che nessun governo sino ad oggi ha trovato una sola soluzione se non “aiuti di stato” a favore di chi non si sa (noi tutti del nord e del sud lo immaginiamo ma i politici no).
Personaggi del Nord che si fregiano del titolo di “imprenditori” ma che hanno ottenuto immensi benefici dai fondi destinati al Sud ci sono ma per favore niente vittimismo, il Nord è quello che è non certo grazie a questi omuncoli.
Noi Italiani non abbiamo il coraggio di prendere decisioni drastiche come fanno Germania, Inghilterra, Francia. Io voterei per qualsiasi partito che mi dimostri coi fatti di voler tagliare drasticamente la spesa pubblica, naturalmente dove sono evidenti gli sprechi…..esempio??? dipendenti pubblici, benefici dei soliti noti, enti inutili (province),lotta seria all’evasione, riduzione pressione fiscale, riduzione burocrazia. Non mi occupo di politica ma sono certissimo che risolvere i problemi sopra elencati, anche nel lungo periodo (dieci anni) ci ritroveremmo con un altro paese.
Che l’attuale Governo non abbia risolto i problemi del Sud è evidente, come è evidente che nessun governo sino ad oggi ha trovato una sola soluzione se non “aiuti di stato” a favore di chi non si sa (noi tutti del nord e del sud lo immaginiamo ma i politici no).
Personaggi del Nord che si fregiano del titolo di “imprenditori” ma che hanno ottenuto immensi benefici dai fondi destinati al Sud ci sono ma per favore niente vittimismo, il Nord è quello che è non certo grazie a questi omuncoli.
Noi Italiani non abbiamo il coraggio di prendere decisioni drastiche come fanno Germania, Inghilterra, Francia. Io voterei per qualsiasi partito che mi dimostri coi fatti di voler tagliare drasticamente la spesa pubblica, naturalmente dove sono evidenti gli sprechi…..esempio??? dipendenti pubblici, benefici dei soliti noti, enti inutili (province),lotta seria all’evasione, riduzione pressione fiscale, riduzione burocrazia. Non mi occupo di politica ma sono certissimo che risolvere i problemi sopra elencati, anche nel lungo periodo (dieci anni) ci ritroveremmo con un altro paese.
[...] Tremonti, Berlusconi e il dualismo tra Nord e Sud [...]
![b34d3fc4a459b68a2cf46c5145cfad0e.png](webkit-fake-url://2398D141-513B-42A5-9CA8-7DE282188868/b34d3fc4a459b68a2cf46c5145cfad0e.png)
La Banca d’Italia che ha compito primario di la Vigilanza sulle Banche non si è mai accorta di nulla (Banco Ambrosiano, Banca Sindona, Banca di Lodi, scalate bancarie varie, titoli farlocchi, prodotti bancari strutturati sulle catene di S. Antonio e via discorrendo, da un po’ di tempo si diletta a commentare statistiche. Dobbiano credere con maggiore fortuna di Vigilante? Oppure interpretano le statistiche come i maghi leggono le stelle? Bella la balla “nel sud ci sono più cause perchè i sudisti sono più litigiosi” non perchè denunziano quelli dei servizi pubblici inefficienti, anzi deficienti come la Banca d’Italia.
![12a4443da31088320ef8a3947a01b343.png](webkit-fake-url://2398D141-513B-42A5-9CA8-7DE282188868/12a4443da31088320ef8a3947a01b343.png)
Il vendicativo Tremonti, “incapace di addossarsi colpe, insofferente alle critiche, con evidente idiosincrasia ai controlli”, ha bocciato la candidatura di Luca Cordero di Montezemolo a presidente del Comitato Olimpico.
“Il ‘no’ del presidente della Ferrari è arrivato questa mattina, in un incontro a palazzo Chigi con il sottosegretario alla presidenza del Consiglio Gianni Letta. Per Montezemolo, che si era preso 48 ore per rispondere all’offerta ricevuta da Letta e aveva chiesto tra l’altro che il progetto avesse il pieno sostegno del governo, risorse adeguate e l’appoggio bipartisan nell’interesse del Paese, condizioni senza le quali – aveva dichiarato Montezemolo – non avrebbe accettato l’incarico. Ora si parla invece di uno stop arrivato direttamente dal ministro dell’Economia Giulio Tremonti.”
http://roma.repubblica.it/cronaca/2011/02/21/news/montezemolo_versa_la_rinuncia_sale_la_candidatura_di_pescante-12712472
Ho il vago sospetto che il veto di Tremonti sia collegato a questo articolo (ed altri) uscito su “ItaliaFutura”, il web magazine di Montezemolo.
“L’Imperatore dei marziani”
L’angolo dei marziani/3
di E.I. Zamjatin , pubblicato il 31 maggio 2010
http://www.italiafutura.it/dettaglio/110615/limperatore_dei_marziani
“Il ‘no’ del presidente della Ferrari è arrivato questa mattina, in un incontro a palazzo Chigi con il sottosegretario alla presidenza del Consiglio Gianni Letta. Per Montezemolo, che si era preso 48 ore per rispondere all’offerta ricevuta da Letta e aveva chiesto tra l’altro che il progetto avesse il pieno sostegno del governo, risorse adeguate e l’appoggio bipartisan nell’interesse del Paese, condizioni senza le quali – aveva dichiarato Montezemolo – non avrebbe accettato l’incarico. Ora si parla invece di uno stop arrivato direttamente dal ministro dell’Economia Giulio Tremonti.”
http://roma.repubblica.it/cronaca/2011/02/21/news/montezemolo_versa_la_rinuncia_sale_la_candidatura_di_pescante-12712472
Ho il vago sospetto che il veto di Tremonti sia collegato a questo articolo (ed altri) uscito su “ItaliaFutura”, il web magazine di Montezemolo.
“L’Imperatore dei marziani”
L’angolo dei marziani/3
di E.I. Zamjatin , pubblicato il 31 maggio 2010
http://www.italiafutura.it/dettaglio/110615/limperatore_dei_marziani
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Il mio sospetto trova conferma in questo articolo di Roberto Mania:
“E Tremonti disse no a Luca”
“(…). Ci sono vecchie ruggini e c’è – da ultimo – una critica ripetuta della Fondazione montezemoliana “Italia Futura” alla politica economica di Via Venti Settembre: bene il controllo dei conti pubblici ma la crescita? E le liberalizzazioni? Più tante altre punzecchiature mal digerite dal ministro permaloso. (…)”.
http://www.repubblica.it/rubriche/lobby/2011/02/21/news/e_tremonti_disse_no_a_luca-12731104/index.html
“E Tremonti disse no a Luca”
“(…). Ci sono vecchie ruggini e c’è – da ultimo – una critica ripetuta della Fondazione montezemoliana “Italia Futura” alla politica economica di Via Venti Settembre: bene il controllo dei conti pubblici ma la crescita? E le liberalizzazioni? Più tante altre punzecchiature mal digerite dal ministro permaloso. (…)”.
http://www.repubblica.it/rubriche/lobby/2011/02/21/news/e_tremonti_disse_no_a_luca-12731104/index.html
domenica 18 marzo 2012
L’Italia non conviene più (da LIMES)
Limes - rivista italiana di geopolitica
Dai lettori di Limes online
L’Italia non conviene più
di Giovanni Durante
La beffa storica dell'Unità. Il caso leghista e la "questione settentrionale". La maionese italiana.
(20/02/2009)
(un'altra carta pubblicata tra quelle proposte da questo lettore è stata pubblicata su Limes 2/2009 Esiste l'Italia? (dipende da noi), Limes su carta, in edicola dal 3 marzo 2009).
Il quesito posto dagli amici di Limes sulla questione “esiste l’Italia?” è veramente di grande attualità, oggi che il paese vive un momento di forte difficoltà.
Non è quindi da irresponsabili porsi questo domanda ma anzi da cittadini maturi che debbono veramente chiedersi se, in nome di un presunto interesse nazionale, da tempo e da più parti sbandierato, ci sono ancora le motivazioni che rendono vantaggiosa l’unità statale della penisola.
Unità che lo ricordiamo in appena un secolo e mezzo forse ha prodotto più guasti che aspetti positivi, con un sentimento nazionale avvertito in tono decisamente minore rispetto ad altri stati europei, anche con una storia di unità statale più recente della nostra e sicuramente in maniera a volte imbarazzante come palesatosi ad esempio nel caso della passione popolare che accompagna le avventure della nostra nazionale, i cui giocatori però molto spesso disconoscono le strofe dell’inno di Mameli.
La beffa storica dell’unità
D’altronde i recenti studi di coraggiosi storici meridionali stanno smentendo l’impalcatura concettuale che vorrebbe che l’annessione (perché di questo si è trattato e non certo di un unione volontaria sulla base di interessi condivisi) delle regioni centro meridionali della penisola al Piemonte cavouriano nel periodo 1859-1861 sia stata una fortuna come la storiografia ufficiale ci ha fin qui presentato. Ovviamente non sono tra quelli che nutre simpatia per il regime borbonico o per quello papale. Ma l’annessione fu un affare solo per il nord. Basti pensare che nel 1859 il Regno del Piemonte con una popolazione di appena 5 milioni di anime aveva un debito pubblico di 1271 milioni di lire contro i 441 milioni del Regno di Napoli che peraltro aveva 9 milioni di sudditi. Il sud inoltre non era più povero di come certa storiografia lo ha dipinto dato che la percentuale dei poveri (l’1.34% della popolazione) era in linea con quelli degli altri stati pre-unitari, mentre dal censimento del 1861, fatto a unità compiuta, si evince che il sud stesso con il 36.7% della popolazione complessiva italiana aveva nell’industria una forza lavoro pari al 51% del totale con quasi cinquemila fabbrica (quarta flotta mercantile del mondo, industria siderurgica, tessile, cartiera, estrattiva e chimica, conciaria, del corallo, vetraria e alimentare) mentre nel comparto agricolo disponeva del 56.3% dei braccianti agricoli e del 55.8% degli operai agricoli specializzati. E dei 670 milioni di lire di allora che costituivano la riserva aurea italiana, ben 443.2 milioni provenivano dal tesoro del Regno delle Due Sicilie.
Si consideri inoltre che nelle Due Sicilie vi era la più alta percentuale di medici per abitanti in Italia (in tutto 9390 su circa 9 milioni di abitanti; Piemonte, Liguria, Lombardia, Toscana e Romagna messi insieme ne avevano 7087 su 13 milioni di abitanti), il minor tasso di mortalità infantile d’Italia (fino alla fine del 1800 i livelli più elevati si registravano in Lombardia, Piemonte e Emilia Romagna), che nel 1821 una legge escludeva da ogni impiego i genitori che non avessero vaccinato i figli per il vaiolo mentre nel Regno di Sardegna la vaccinazione fu resa obbligatoria solo nel 1859. Non si può dire inoltre che nelle Due Sicilie mancassero gli ospedali (22 nel 1847) e napoletana fu la prima clinica ortopedica d’Italia cosi come napoletano fu sempre quell’atto rivoluzionario nella storia della psichiatria che vide, per la prima volta in Europa, togliere i ceppi agli internati. Il Regno vantava quattro università e il numero degli studenti meridionali era maggiore di quello di tutte le università italiane messe assieme (9 mila su complessivi 16mila) e le case editrici napoletane pubblicavano il 55% di tutti libri editi in Italia, mentre solo il dato dell’alfabetizzazione era il peggiore della penisola. Da non dimenticare infine che l’emigrazione era sconosciuta.
Lo stesso Cavour in una lettera del 14 dicembre 1860 a Vittorio Emanuele II scrisse: “Lo scopo è chiaro e non è suscettibile di discussione. Imporre l’unità alla parte più corrotta e più debole dell’Italia. Sui mezzi non vi è pure gran dubbiezza: la forza morale e se questa non basta la fisica”.
Detto e fatto, perché di fronte alla inevitabile reazione meridionale, si mobilitò l’esercito che diede vita a una repressione incredibile che anni dopo suscitò persino l’indignazione di Gramsci il quale scrisse: “Lo stato italiano è stato una dittatura feroce che ha messo a ferro e fuoco l’Italia meridionale e le isole, squartando, fucilando, seppellendo vivi i contadini poveri che scrittori salariati tentarono di infamare col marchio di briganti."
Il disegno settentrionale fu preciso: l’asse Torino – Milano - Genova doveva avere il monopolio dell’industria italiana. Al Sud fu così assegnato un ruolo prevalentemente agricolo e di fornitore di mano d’opera per l’industria nordica. I fiori all’occhiello dell’economia meridionale, che erano al primo posto al momento dell’unità, nei relativi settori, come l’industria metalmeccanica di Pietrarsa, i cantieri navali (come Castellammare di Stabia, il più grande del Mediterraneo), gli stabilimenti siderurgici di Mongiana o Ferdinandea, l’industria tessile e le cartiere, caddero in abbandono o furono chiusi mentre, contemporaneamente, al Nord, sorsero quasi dal nulla analoghi stabilimenti come l’arsenale di La Spezia o colossi come l’Orlando.
Per questo, quando sento risuonare i proclami di secessione leghista mi metto a sorridere perché se vi è una parte d’Italia che dovrebbe chiedere dei risarcimenti questa è proprio il sud e anche per altre ragioni storiche. A differenza di altre “piccole patrie” europee (Scozia, Catalogna, ecc.) che hanno una storia alle spalle la cosiddetta “Padania” può infatti al limite essere considerata una espressione economica ma non ha un passato statuale a cui riferirsi mentre è proprio il sud Italia ad aver visto la nascita di uno dei primi stati centralizzati d’Europa e cioè quello normanno-svevo.
Il caso leghista e la “questione settentrionale”.
Eppure, tralasciando il passato anche il fenomeno leghista non può essere relegato in secondo piano o trattato con indifferenza. Da quando infatti, in quelle ormai lontane elezioni del 1987 quando la Lega prese il 6.6% dei voti nel collegio Como-Sondrio-Varese eleggendo un senatore e un deputato (tal Umberto bossi) questa forza è diventata un soggetto sempre più presente nella vita politica nazionale alla pari di altre formazioni autonomiste europeee come la catalana CiU (Convergia i Uniò) o come la Volksunie belga.
E la Lega, lo dobbiamo ammettere anche noi meridionali non è la malattia ma la spia, il sintomo del disagio sociale che si respira nella parte settentrionale del paese. L’autonomismo regionale infatti costituisce un problema che lo stato unitario aveva risolto alle sue origine con una netta scelta centralistica e che la Repubblica, a partire dal 1970, temperò con l’istituzione dell’ordinamento regionale. Questa esperienza è stata però sotto molti aspetti sostanziali un evidente fallimento. Alla precisa attribuzione di competenza che la carta costituzionale prevedeva per questi enti, non seguì, infatti, nel loro processo costitutivo, una distinzione funzionale, parimente nitida, tra essi e lo Stato centrale. Nell’ambito di queste competenze le regioni divennero titolari di un potere legislativo, a cui non corrispondeva uguale attribuzione e strumentazione amministrativa e solo alcune di esse presero lentamente a provvedervi. Mancarono di autonomia finanziaria e la loro dotazione procedeva per trasferimento, come quello degli altri enti locali. Molti dei loro indirizzi di spesa facevano capo a leggi ordinarie dello Stato. Nacquero quindi come uno snodo della struttura consociativa del sistema e attraverso di loro la classe politica maturò un’ulteriore sua stratificazione, un livello istituzionale intermedio di distribuzione della spesa pubblica, nonché d’organizzazione corporativa e clientelare. L’elemento unificante era dato dall’appartenenza di tutti al sistema dei partiti nazionali, all’interno dei quali ciascuno si collocava in un’abbastanza ordinata gerarchia di ruoli e di ambiti decisionali. Solo alcune regioni riuscirono a perseguire propri modelli di sviluppo e d’integrazione sociale e produttiva. Per le tre regioni a guida comunista, ad esempio, si parlava di un modello, che venne appunto designato di volta in volta come umbro, toscano, emiliano. Facevano da riscontro a esso le tre grandi regioni del nord, Piemonte, Lombardia e Veneto, a prevalente guida democristiano - socialista, che per la complessità e modernità del tessuto socio-economico di riferimento tendevano anch’esse a emergere rispetto alle altre, nell’esplicazione del loro ruolo istituzionale. Nel Mezzogiorno l’istituzione delle regioni costituì invece complessivamente un arretramento, essendo venute meno, senza essere state sostituite, alcune presenze amministrative dello Stato centrale, che erano state comunque un livello già acquisito di modernità. Ci fù ad esempio, attraverso l’uso indiscriminato del sistema delle sub-deleghe agli enti territoriali minori, un riavvicinamento di molte decisioni rilevanti alla platea degli interessi particolari a cui queste si riferivano, con un conseguente, inevitabile, complessivo imbarbarimento socio-politico.
Nel 1975, all’indomani della vittoria elettorale amministrativa del PCI, il presidente dell’Emilia-Romagna, Guido Fanti, lanciò la proposta di un’alleanza tra le regioni della valle Padana. Questa idea di una «proto-Padania» nasceva allora però dalla constatazione polemica dell’incapacità dimostrata dal governo centrale di fornire una guida allo sviluppo economico-produttivo e, in quest’ambito, era già anche una critica alla politica meridionalistica così come veniva allora praticata. Era anche un modo per allargare il ruolo di governo del PCI (con le elezioni del 1975, tra l’altro, sia il Piemonte sia la Liguria si erano date una giunta di sinistra) secondo una direttrice riformistica, nel cuore del tessuto economico-produttivo del Paese, ma pur sempre entro la cornice di un disegno politico nazionale quale quello berlingueriano del «compromesso storico». Dietro a ciò emergeva tuttavia un problema di fondo: le regioni italiane procedevano con diversa velocità nel proprio sviluppo economico-produttivo e da ciò traevano una diversa consapevolezza degli oneri, ma anche delle possibilità che potevano derivare dalla loro autonomia. Lo mostravano altri sintomi. Il doroteo Bisaglia, ad esempio, nel 1982 notava come “per lo sviluppo effettivo delle potenzialità del Veneto l’ostacolo principale è la visione centralistica che prevale in Italia. Centralistica e burocratica. Se ciò fosse possibile, direi che il Veneto sarebbe pronto a partecipare a uno stato federale ma l’Italia no, non sarebbe pronta. L’ostacolo è nello squilibrio tra la coesione culturale del Veneto e quella generale. Lo stato ne ha paura”. L’istituzione dell’ordinamento regionale ha così indubbiamente contribuito a riproporre il problema storico dello squilibrio socio-economico tra le varie parti del Paese, nel senso che ciascuna regione ha potuto fare un bilancio delle proprie possibilità e prospettive e confrontarle con quelle delle altre, essendo ormai dotata di un proprio centro istituzionale d’iniziativa. E non a caso a partire dagli anni 90, furono le regioni forti a incominciare ad agitare questo problema, sapendo di non dover dipendere dallo stato centrale nelle loro prospettive di sviluppo. Questa era un’altra delle contraddizioni latenti su cui la classe politica in quegli anni non prese seriamente a ragionare come avrebbe dovuto con il risultato finale che ci troviamo ad affrontare oggi una situazione difficile che mette a seria prova l’utilità stessa di uno stato italiano unitario.
Il quadro attuale: la “maionese italiana”
Il risultato finale è una Italia spaccata non solo nella tradizionale tripartizione nord-centro-sud tanta cara all’ideologia leghista ma anche all’interno dei suoi vari sub-territori (cartina 1).
Tre regioni (Calabria, Campania e Sicilia) sono ormai diventata preda del potere malavitoso i cui tentacoli si estendono ora in direzione di altri territori come la Puglia e il litorale laziale e con forti ramificazioni nel settentrione. A queste regioni si contrappongono quelle che nel gergo politichese sono chiamate il “fortino rosso” (Emilia – Romagna, Umbria – Toscana e Marche) dove si è affermata una tradizionale ricetta fatta di coesione sociale e buongoverno ma che è anche essa oggi messa a dura prova e aggredita da più fronti. Il nord stesso è ormai diviso tra i territori del cosiddetto triangolo industriale (Torino – Genova - Milano) ancora non ripresesi del tutto dalle difficoltà del processo di riconversione economico in atto nell’ultimo quindicennio e il cosiddetto nord-est definito dagli analisti la vera “locomotiva economica d’Italia. A ciò si aggiungono dei territori dove forte e radicata è la tendenza ad una ulteriore autonomia come l’Alto Adige (si rammenti a proposito l’appello lanciato nel 2006 da 113 sindaci altoatesini affinché l’Austria fissasse nella sua costituzione l’impegno ad agire come potenza tutrice dell’autonomia del Sud-Tirolo come pure del suo diritto all’autodeterminazione), la Valle D’Aosta e la Sardegna.
Possibili soluzioni all’interno del contesto europeo.
Cosa fare allora, come aggiustare questa Italiettà? A mio avviso occorre ancora una volta riportare la moderna questione italiana nel contesto geo-politico della più ampia Unione Europea la quale non gode attualmente di buona salute.
La bocciatura del Trattato di Lisbona da parte della piccola Irlanda ripropone una volta di più l’urgenza di ridefinire lo spazio geo-politico dell’Unione quale premessa per un diverso e più funzionale assetto delle stesse istituzioni comunitarie.
Come infatti aveva ben evidenziato Limes stesso (L’Europa è un bluff – vol. 1/2006) “il ritorno della storia e degli egoismi nazionali è un segnale d’allarme per l’Italia, poiché l’erosione della sovranità statale stretta nella tenaglia Unione Europea-regioni/territori, non è uguale per tutti. Colpisce soprattutto gli Stati deboli, Italia in testa. Siamo stati educati per mezzo secolo a credere nel necessario avvento di un’Europa unita che avrebbe sublimato il deficit di legittimazione e efficienza del nostro Stato nazionale. Ci siamo illusi che per i partner comunitari l’Italia fosse un paese naturalmente europeo e che il rango di paese fondatore ci attribuisse automaticamente speciali diritti. Non è più così. Almeno da quando l’Unione Europea ha imboccato il percorso dell’espansione verso nord-est, attratta dal vuoto lasciato dalla ritirata russa. Per la maggior parte dei nuovi membri siamo più un anomalia che una risorsa. E forse lo eravamo anche per alcuni soci fondatori. Ma non potevano lasciarselo fuggire, in tempi di guerra fredda e di stringente solidarietà euro-atlantica. Difatti oggi l’Italia è un paese senza alleati e non siamo ricompresi in nessuna delle rinascenti aggregazioni macroregionali. Anche perché storicamente non ne siamo mai stati parte, se non in tempi preunitari. E’ istruttivo sotto questo aspetto studiare le carte dei protofederalisti europei come quella della “Nuova Europa” di Bernard Norman (1943), dove il mosaico continentale è interamente composto da tasselli federali - alcuni anche molto attuali - con l’unica eccezione dell’Italia. Quasi che fosse impossibile connettere la penisola a un qualsiasi sottoinsieme europeo”.
Un continente dove oggi si contano 45 stati – più decine di territori che aspirano alla statualità – oltre che centinaia di regioni, laender, comunità autonome con ambizioni politiche e fiscali spesso smodate e quindi, tutte insieme, difficilmente riconducibili a un comune denominatore europeo. Occorre pertanto ridurre la complessità dello spazio geo-politico europeo aggregando stati e territori intorno a interessi, culture e progetti comuni come peraltro la stessa Unione Europea sta facendo nella predisposizioni di alcuni progetti come INTERREG e altri.
Così ad esempio è immaginabile uno “macroregione baltica” che comprenda gli attuali stati dell’Estonia, della Lettonia, della Lituania, della Finlandia, della Svezia, della Danimarca, i voivodati polacchi di Warminsko-Mazurskie, Pomorskie e Zachodnio-Pomorskie, e i laender tedeschi del Meklemburg-Vorpommern e dello Schlewig-Holstein (e forse in futuro anche gli oblast russi di Kaliningrad e di San Pietroburgo) oppure una “macroregione alpina” formata dai territori degli attuali stati di Austria, Svizzera, Slovenia, i laender tedeschi della Baviera e del Baden Wuttemberg, le regini francesi della Paca (Provence-alpes-cote d’azur), del Rhone-alpes e della Franche Comte e quelle del settentrione italiano.
Questo macro-aggregazioni regionali ridurrebbero la complessità dello spazio geo-politico europeo ad una decina di soggetti istituzionali (poi liberi di confederarsi tra loro in una UE rinnovata) e sarbberro più vicine alla tante piccole “heimat” locali facendo diminuire il rischio, oggi altissimo, di veder sostituirsi al centralismo degli stati nazionali l’egoismo delle piccole patrie.
In una siffatta cornice istituzionale pan-europea, lo stato italiano così come oggi appare sulle carte geografiche non avrebbe più ragione di essere ma i suoi territori si fonderebbero paritariamente con quelli di altri stati europei secondo affinità e vocazione:
A) le attuali regioni delle marche, dell’Abruzzo, del Molise, della Puglia e le province di Perugia e di Potenza più i territori ionici della Calabria e della Sicilia, si unirebbero a quelli degli attuali stati balcanici della Croazia, del Montenegro, dell’Albania, della Macedonia, della Grecia e forse del Kosovo-Serbia e della Bosnia quando questi saranno più stabilizzati – nella “macroregione europea del Levante” in virtù delle comuni vicende storiche e dai rapporti interetnici (la Magna Grecia, la dominazione bizantina, le minoranze ellenofone e albanesi in Calabria e croate in Molise) e gli interessi economici che si possono sviluppare lungo corridoi quali quello Bar-Bar- Belgrado con diramazioni collaterali come la Belgrado-Salonicco).
B) Le attuali regioni della Toscana, del Lazio (fatta eccezione per la provincia di Rieti), della Campania, della Sardegna, le provincia di Terni e di Potenza, i territori tirrenici della Calabria e gran parte della Sicilia, si unirebbero a quelli di attuali regioni francesi come la Corsica o la Linguadoca-Rossiglione o spagnole come la Catalogna, l’Aragona, la comunità valenciana e le Baleari nella “macroregione europea del Mediterraneo occidentale” cementata dalla storia (la dominazione spagnola plurisecolare nelle isole e nel sud Italia oltre chè nel piccolo stato dei Presidi in Toscana o l’influenza francese) e dagli interessi geo-economici.
C) le attuali regioni della Valle D’Aosta, del Piemonte, della Liguria, della Lombardia, del Trentino Alto Adige, dell’Emilia Romagna, del Veneto, e del Friuli – Venezia Giulia nella sopra prefigurata “macroregione europea alpina” oppure in caso di una diversa direzione geo-politica attuata dai territori di questa regione (con L’Austria che guarda più a riallacciare i rapporti con lo spazio geo-politico del suo ex-impero e la Svizzera e le regioni dello spazio alpino francese e tedesche tese più a proiettarsi verso l’Europa centrale cioè verso una prefigurata “macroregione europea transrenana”) con una possibile ripartizione in due distinti ambiti – Triveneto da un lato e Piemonte, Lombardia, Valle d’Aosta, Liguria e Emilia Romagna dall’altro.
Questo è uno degli articoli selezionati tra quelli ricevuti in seguito alla richiesta fatta in questi mesi ai lettori di limesonline nell’ambito dell’iniziativa Esiste l’Italia? e Disegna l’Italia di inviarci dei loro contributi.
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